Webinar “Il corpo tra eros e agape”

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22 giugno 2021 – di Tullio Carere-Comes

1.

La nozione di corpo eterno, un corpo che muore e rinasce per vivere in eterno, è centrale nel cristianesimo ma si trova anche in culture precedenti, specialmente nello sciamanesimo. Se si considera che il tema centrale dello sciamanesimo, secondo Mircea Eliade, è il rito iniziatico di passione, morte e rinascita, non sorprende che Gesù stesso sia stato considerato una sorta di sciamano. Nei primi secoli del cristianesimo sono coesistite immagini e interpretazioni molto diverse di Gesù. In particolare Elaine Pagels, considerata la massima autorità nel campo dei vangeli apocrifi o gnostici, ricostruisce l’origine del cristianesimo a partire dal conflitto tra canonici e gnostici, o tra giovannei e tommasei, nei primi due secoli dell’era volgare. In sostanza, per i tommasei Gesù chiedeva ai suoi discepoli di scoprire in sé stessi la luce nascosta, il “corpo di luce” che si cela nell’interiorità di ogni essere umano. Come l’ho trovata io potete trovarla anche voi, diceva: chi cerca trova. Per i giovannei, al contrario, Gesù è il figlio unigenito di Dio. «Voi siete di quaggiù; io sono di lassù», diceva. Noi, dice Giovanni, siamo così diversi da Gesù che egli è la nostra sola speranza di salvezza. Se Gesù fosse come noi, non potrebbe salvare né liberare l’umanità che sta morendo nel peccato. L’immagine di Gesù che ha prevalso è dunque quella del Salvatore e Redentore, mentre in quella che è stata sconfitta Gesù era un uomo come tutti noi, uno che aveva trovato la propria luce interiore, il proprio corpo di luce, come possiamo fare tutti. Ma l’eresia gnostica, stroncata nei primi secoli del primo millennio, ha continuato a serpeggiare nei secoli all’interno della cristianità. La celebre formula di Meister Eckhart, contemporaneo di Dante, “Il padre genera il figlio in ogni uomo di ogni tempo che pratichi il distacco” ha un preciso significato sciamanico/gnostico: chiunque sia disposto a distaccarsi da tutto ciò con cui si è identificato, ovvero a lasciar morire il proprio ego, obbliga il padre, cioè la forza generativa del processo, a generare in lui il figlio dell’uomo, cioè l’uomo nuovo che nasce sulle ceneri del vecchio. L’uomo nuovo nasce grazie a un processo di graduale combustione del vecchio: è l’operazione di transustanziazione della materia corporea centrale nell’alchimia. Il risultato dell’operazione è la pietra filosofale o filius philosophorum, altro nome del figlio dell’uomo. E’ ancora un corpo, ma un corpo sottile, eterico, alleggerito dalla componente materica soggetta alla forza di gravità e allo scorrere del tempo, capace di soggiornare nell’eterno presente. In questo senso è un corpo che risorge alle fine dei tempi: l’eterno si apre per il figlio dell’uomo che ha la capacità di trascendere il tempo cronologico per installarsi nel momento presente. Di queste cose oggi possiamo parlare liberamente anche con un sacerdote non solo perché la Chiesa ha rinunciato a, o perso il potere di, mandare al rogo gli eretici, ma anche per una evoluzione in senso gnostico della stessa cristianità: come ha notato il teologo Vito Mancuso, i cristiani oggi sono sempre meno disposti a credere e sempre più vogliono fare esperienza delle cose in cui in passato hanno dovuto semplicemente credere.

          C’è dunque questo corpo immateriale, puramente energetico, che nasce nell’interiorità dell’uomo grazie al potere generativo del logos che può operare nella misura in cui questo spazio è stato liberato, ripulito, svuotato da tutto ciò che è superfluo, come osserva Mancuso nel suo saggio più recente. A questo corpo interiore si contrappone nella cultura contemporanea il corpo dell’essere umano gettato nel mondo, fragile e dolente nella sua insuperabile finitezza, pura superficie priva di ancoraggi profondi, con la morte come suo unico orizzonte. Paradossalmente la sua forza si scopre nell’accettazione della sua finitezza e vulnerabilità, nel suo esporsi senza difese al contatto e allo sguardo degli altri. In questo scoprirsi ed esporsi si rende possibile una relazione amorosa diversa da quella che si fonda sul corpo interiore. L’amore che lega i corpi interiori è di tipo agapico, mentre quello che unisce i corpi gettati nel mondo è di tipo erotico. Agape, in latino caritas, nella tradizione cristiana significa amore oblativo, disinteressato, incondizionato. Eros, per contrasto,  nella prospettiva di filosofi contemporanei come Jean-Luc Nancy e il nostro Giacomo Paris, è amore carnale attivato dalla vista e dal contatto della pelle, finalizzato alla ricerca del godimento, del darsi reciprocamente piacere. Quindi da un lato l’accento è sulla profondità e l’essenza, dall’altro sulla superficie e l’esistenza. Di fronte a questa opposizione abbiamo diverse opzioni. La prima è la più popolare: cercare di dimostrare che la nostra visione è vera e quella contraria è erronea. La seconda: rispettare la visione opposta e chiedere rispetto per la nostra. La terza: cercare la parte di verità in entrambe le visioni e una visione superiore che integri entrambe. Un esempio della prima opzione è offerto da de Rougemont: solo l’amore coniugale è buono e degno dell’essere umano; l’amore passione è una malattia, vive solo nella trasgressione e per questo ha un bisogno perpetuo di ostacoli. La seconda opzione è rappresentata dalla tolleranza laica che avanza nel mondo occidentale: tutte le scelte sono valide, purché fondate sul consenso e sul rispetto reciproco. La terza opzione è espressa nel modo più chiaro dal detto di Hegel “il vero è l’intero”. C’è del vero sia da una parte che dall’altra, nell’essenza come nell’esistenza, nella superficie come nella profondità. Ma per attingere a una verità superiore dobbiamo riuscire a cogliere l’intero di cui tesi e antitesi sono verità parziali.

2.

In questa ricerca dell’intero la storia del pensiero non ha dovuto aspettare Hegel. Già Platone aveva una visione dell’eros che parte dalla superficie e dal basso per muoversi sempre più in profondità e in alto. Nella celebre metafora dell’anima come biga alata, l’auriga deve domare il cavallo nero che vuole gettarsi sull’oggetto del suo desiderio per possederlo focosamente ma anche quello bianco che vuole salire al cielo in modo da costringerli a procedere appaiati, avendo moderato l’uno la sua carica pulsionale e l’altro la sua aspirazione incondizionata al cielo. Se all’inizio della corsa il carro vola basso, in quanto l’eros si manifesta in modo prevalente come attrazione carnale, nel prosieguo il cavallo bianco prende forza e la spinta erotica complessiva è sempre più libera da condizionamenti istintivi e culturali, dirigendo il carro dell’anima verso la pianura della verità che si trova nell’iperuranio. L’amore platonico è un amore fisico che sempre più si sublima in amore spirituale. Mi sembra che a questa elevazione dell’eros si sia ispirato papa Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est: «Anche se l’eros inizialmente è soprattutto desiderio, nell’avvicinarsi poi all’altra persona si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre più la felicità dell’altro, si donerà e desidererà «esserci per» l’altro: così si inserisce in esso e si afferma il momento dell’agape» (Bollettino vaticano, 25.01.2006). In questa prospettiva l’eros non è condannato e represso, ma è accolto e trasformato in senso agapico. Ciò che Platone e Ratzinger hanno in comune è la visione dell’eros come la forza che tende a unire ciò che è separato. Il rapporto sessuale è il modo più naturale ed elementare di cercare questa unione, ma anche quello che più fatalmente si rivela illusorio. Quando Lacan dice che il rapporto sessuale è impossibile, intende dire proprio questo: l’unione che si ottiene attraverso il sesso dura pochi attimi, ed è sempre sfuggente. È quindi nella logica dell’eros cercare l’unione su piani meno sfuggenti, sempre meno legati al sesso e più ai sentimenti. Tuttavia anche i sentimenti, per quanto consentano unioni più solide e durature, alla fine si rivelano anch’essi inadeguati a soddisfare il bisogno erotico di unione profonda, capace di superare la contingenza e volatilità dei desideri e dei sentimenti. A un livello superiore rinvia la formula di Saint Exupéry: amare non è guardarsi in faccia, ma guardare nella stessa direzione. L’amore di cui parla questa formula è la philia che ha superato i piani del sesso e del sentimento, avendo sperimentato l’impossibilità di arrivare a unioni che non siano temporanee, conflittuali e problematiche, come lo sono inevitabilmente le relazioni su quei piani. È necessario partire dal basso ma l’eros non può fermarsi lì. Per sua natura deve continuare nella ricerca di esperienze unitive sempre meno precarie e più profonde. Al livello della philia i partner possono condividere o meno dei momenti di unione fisica, sentimentale e agapica, ma il piano su cui sempre più si fonda la loro relazione è quello di una partnership di ricerca di una esperienza unitiva più profonda e sostanziale.

          Se dunque, come hanno ben visto sia Platone che Ratzinger, l’eros è la forza che tende all’unione di ciò che è separato, è nella logica delle cose che il processo parta dal livello più naturale ed elementare, quello del sesso, per salire gradualmente a livelli più elevati, per l’impossibilità di trovare l’unità agognata tanto nell’unione tra i corpi (preferita dagli uomini) quanto in quella tra i cuori (preferita dalle donne). Dovrà essere superato sia il piano pulsionale che quello sentimentale. Sappiamo bene tuttavia che questa trasformazione evolutiva della forza erotica è tutt’altro che scontata. La maggior parte delle persone non supera il livello pulsionale/sentimentale, passando da un partner all’altro alla ricerca di una unione impossibile e alla fine fermandosi con rassegnazione in una relazione che offre per lo meno una base di sicurezza. Il livello agapico, dell’amore oblativo e incondizionato, supera i livelli pulsionale/sentimentale, ed è comunemente considerato la forma più alta di amore. Tuttavia anche a questo livello l’amore è sempre amore dell’altro, quindi ancora interno alla dualità. L’eros incontentabile vuole ancora di più: aspira a quel livello di amore assoluto che solo i mistici raggiungono. Se la forza dell’eros non è sufficiente per raggiungere le mete sempre più elevate cui aspira, che cosa serve per procedere nel perseguimento di livelli sempre più alti di unione? Per rispondere a questa domanda basta riflettere sul fatto che l’eros è appunto una forza, una forza vitale potentissima ma cieca: tanto è vero che se è lasciata a sé stessa è destinata a portare chi ne è trascinato in uno dei vicoli ciechi che conosciamo bene per esperienza personale e di chi ci sta intorno. Se invece questa forza è governata con l’intelligenza consapevole rappresentata nella metafora della biga alata dall’auriga che la guida, la direzione sarà stabilita dal guidatore in funzione delle caratteristiche del viaggio in ogni sua fase. Ma è essenziale vedere che il percorso ha una sua logica. La forza dell’eros spinge inizialmente alla ricerca del rapporto sessuale, ma questo può portare solo a un’esperienza di unione che ha vita breve. È dunque nella logica – nel logos – delle cose che nella ricerca di esperienze di unione più soddisfacenti la forza dell’eros sia diretta verso mete superiori, come aveva ben visto Platone. Nella nostra mappa del campo della cura il lavoro di trasformazione dell’energia erotica avviene su un asse che chiamiamo erologico perché congiunge i poli dell’eros e del logos (dove logos, parola di molti significati, qui significa intelligenza consapevole). Questo mi sembra anche il senso della riflessione di Ratzinger: salvo che per la sua fede il logos si incarna in Gesù Cristo, e quindi il cammino di trasformazione dell’eros non può che essere guidato dalla sua fede («In Gesù Cristo, che è l’amore incarnato di Dio, l’eros-agape raggiunge la sua forma più radicale»). Anche in una prospettiva filosofica c’è bisogno di una fede per procedere in un cammino verso l’ignoto: ma una fede del tutto laica, la fede nel processo o nella logica o logos che lo governa. Una fede che non ha bisogno di alcun credo e alcuna chiesa, come è la fede nel dialogo: la fede che sospendendo ogni certezza e affidandosi al non sapere apre uno spazio in cui il logos del processo può mostrarsi e indicare la strada. In un percorso laico di cura di sé alla fede nel dialogo si affianca poi la fede nella meditazione, che si fonda sullo stesso principio di sospensione tutti i saperi per l’apertura di uno spazio di silenzio interiore al cui interno il logos si mostra e offre le sue indicazioni proprio come nello spazio del dialogo. L’unica differenza per noi, rispetto al tempo di Socrate e di Platone, è quella introdotta dal genio di Freud: la scoperta di come la relazione dialogica si riempia dei fantasmi inconsciamente trasferiti sulla relazione che, se non riconosciuti e analizzati, agiscono come una resistenza che ostacola seriamente il cammino di liberazione.

3.

In conclusione ci chiediamo: in che modo la prospettiva filosofica arricchita dall’esperienza psicoanalitica offre una visione dell’intero che accoglie le visioni parziali da cui siamo partiti: quella del corpo interiore/essenziale e quella del corpo erotico/esistenziale? La prospettiva erologica della nostra scuola, in cui la forza unitiva dell’eros è governata dall’intelligenza consapevole del logos, corrisponde essenzialmente alla visione platonica, ancora straordinariamente valida a distanza di millenni. Se ci limitassimo a questo, ci esporremmo alla critica di parzialità, in quanto la nostra posizione vedrebbe l’attrazione erotica per il corpo solo come momento iniziale di un percorso sbilanciato verso una prevalenza spirituale. Ma l’esperienza analitica ci permette di correggere questa parzialità, mostrandoci che l’eros troppo rapidamente e facilmente messo da parte ritrova una funzione evolutiva nel percorso analitico in quanto forza potente capace di rompere equilibri stabiliti e di rimettere in movimento il cammino esistenziale del soggetto. Nella visione ‘perbenista’, che la psicoanalisi ha avuto la missione storica di scardinare, l’eros è ammesso purché rigidamente regolato secondo i canoni vigenti – che possono benissimo prevedere la poligamia, in certe culture. Un secolo abbondante di psicoanalisi, e specialmente lo sviluppo relazionale avviato nella seconda metà del Novecento, ha mostrato invece che l’eros trasgressivo che trova spazio nel transfert analitico, come anche nella vita reale, può essere messo al servizio del processo maturativo. In altre parole, nella visione tradizionale l’eros è imbavagliato e chiuso nello spazio concesso dai codici dominanti: tipica in questo senso la posizione di de Rougemont, per il quale solo l’amore coniugale è buono e tutto il resto è farina del diavolo. Nel mondo attuale il potere regolativo dell’etica convenzionale si è molto indebolito e l’eros scorre a fiumi e in modo per lo più sregolato al di fuori degli spazi canonici. Tra i due estremi dell’eros rigidamente regolato da un lato e anarchicamente sregolato dall’altro la psicoanalisi, specialmente nei suoi indirizzi relazionale ed esistenziale, ha aperto una via mediana in cui l’energia erotica può uscire dagli spazi canonici non per scaricarsi sterilmente in un edonismo vacuo e superficiale, ma per essere investito in progetti relazionali di crescita personale, interpersonale e transpersonale.

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